Il cieco nato
Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. (Gv 9,3)
Questo
brano del Vangelo non riguarda solo il cieco nato ma è anche rivolto a noi.
Il
cieco nato è stato fortunato perché ha incontrato Gesù che però ha voluto,
prima di guarirlo, anche istruirci su alcune questioni fondamentali.
Innanzitutto
le difficoltà e i problemi che ci investono non sono causati da nostri peccati
o da quelli dei nostri predecessori (genitori, nonni o altro) ma ci capitano
perché si manifestino le opere di Dio.
Specialmente
coloro che affermano di non avere né difficoltà né problemi ne hanno già uno:
quello della loro sicurezza o chiamiamola pure prosopopea. È l’illudersi di non
avere problemi che è già un problema di per sé, mentre il cieco nato non aveva
difficoltà ad ammettere le sue difficoltà e quindi i suoi limiti.
Lui
e pochi altri hanno potuto incontrare in maniera diretta o indiretta Gesù di
persona, per tutti gli altri sta a noi manifestare le opere di Dio tramite il
nostro agire: siamo noi che, aiutando o assistendo gli altri, dobbiamo
manifestare le Sue opere; siamo i Suoi messaggeri cioè solo prestando la nostra
attenzione e carità verso i “ciechi” evidenziamo, facendole trionfare, la Sua
potenza e la Sua tenerezza: cioè la sue opere.
Questo
è un compito altrettanto importante come il vivere la nostra carità. Per questo
dobbiamo darci completamente a chi è solo, povero, malato o con altre
difficoltà: insomma è “cieco”. In questo modo trionferà Dio.
Questo,
infine, è il secondo punto che si può ricavare da un’attenta analisi di questo
episodio: è un invito rivolto a noi a concretizzare la presenza di Dio col
nostro operato.